Mio nonno Quirino nacque nel 1878 a Scurelle Valsugana, paese del Trentino che oggi ha circa 1.400 abitanti ma allora era un piccolo borgo in territorio austriaco. Lasciò il paese giovanissimo, a soli 13 anni e, da solo, raggiunse Parigi dove la sorella Angelina lo aveva preceduto. Mancavano i mezzi – partì senza soldi – ma non certo il coraggio e lo spirito di avventura.
Nel 1906 ritornò in Patria per trovare moglie e, come allora usava, interpellò un sensale (intermediario) che gli presentò mia nonna Sara, ventenne. Lui, ventottenne, la sposò subito ma nello stesso anno ripartì per la Francia, richiamato dagli affari.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nonno venne arruolato nell’esercito austriaco col quale arrivò anche sul fronte russo ma la sua capacità di relazione non venne mai meno e dopo un paio d’anni, come scrisse nel suo diario, una contessa gli fece avere il congedo. Finita la guerra tornò in Francia, riprese e accrebbe la sua attività fino ad affittare un deposito per la sua considerevole mercanzia. Roba che alla sua morte, per la distanza e per le mille difficoltà di quei tempi, nessuno andò a rivendicare.
Nonna Sara, sesta o settima di undici fratelli, nata a Telve di Sopra, piccolo comune della Valsugana, diede a Quirino in tutto otto figli con quattro dei quali, durante la Prima Guerra Mondiale, venne sfollata a Villafranca (Sicilia) insieme ad un gruppo di compaesani. Poiché tutti i profughi trentini sapevano leggere e scrivere, vennero ripartiti fra le varie località vicine dove aiutarono a scrivere ai militari al fronte e ne lessero le lettere ai destinatari. Nonna ricordava con grande simpatia ed amicizia quel periodo, in cui ebbe modo di apprezzare la generosità dei siciliani. Era una donna forte con una grande volontà e fede e mio nonno non avrebbe potuto trovare di meglio.
Nel 1936 nonno rientrò per l’ultima volta per ripartire poi con mio papà Tullio, che nel frattempo aveva compiuto 14 anni ma di lì a poco venne colpito da un male che non perdona e, nonostante le costosissime cure con il cobalto, morì prematuramente e non fece in tempo a passare le consegne a mio padre, che ne soffrì a lungo.
È stato un uomo che godeva di grande rispetto in paese e in famiglia ma di lui non so molto di più; pur avendo creato una famiglia con 6 figli, che non vedeva quasi mai, la sua vita finì incompiutamente a soli 58 anni: troppo presto per passare a suo figlio esperienza e “negozio” e troppo lontano, per quei tempi, per recuperarne i beni rimasti e continuarne la strada intrapresa.
Per quale motivo è emigrata? Mi sono sposata in Italia con mio marito, abitava già in Belgio.
Quali erano le condizioni economiche della sua famiglia e di Scurelle al tempo dell’emigrazione? Nella nostra famiglia mangiavamo tutti i giorni, ma non avevamo alcun lusso superfluo.
Dove è emigrata? Perché ha scelto quel Paese? In Belgio; mio marito lavorava in Belgio e l’ho seguito.
Con quale mezzo di trasporto è partita? Cosa ha portato con sé? Abbiamo preso il treno; ho portato con me una valigia e la mia dote.
Quanto tempo ha impiegato a raggiungere lo Stato di emigrazione? 24 ore.
Quando è arrivata, ha trovato quello che cercava o è rimasta delusa per le difficoltà? Sono stata delusa. Il Paese era nettamente meno bello dell’Italia.
Quale lavoro ha svolto? Mi occupavo di un ristorante con l’aiuto di mia suocera.
Quali sono stati i problemi più grossi (lavoro, casa, lingua, abitudini alimentari, amicizie…)? La lontananza dei miei parenti.
Ci può raccontare qualcosa del luogo in cui è emigrata? A quell’epoca il Belgio era molto prospero, le possibilità di lavoro erano numerose. Il Belgio è un paese piatto dal clima capriccioso.
C’erano altri emigrati? C’erano tantissimi emigrati di razze diverse, ma gli italiani erano soprattutto del Sud.
Aveva nostalgia di Scurelle? Cosa le mancava di più? Sì; [mi mancavano] la mia famiglia, il sole, le montagne e i paesaggi dell’Italia.
Ha fatto fortuna? No; vivo con agio, ma non ho fatto fortuna.
Da: “Co’ la valisa en man” edito da Provincia Autonoma di Trento, 1998
America prima del 1922: In alto Giovanni e Felice Osti, sotto partendo da sinistra Quinto e Gregorio Borgogno.
Da: “Co’ la valisa en man” edito da Provincia Autonoma di Trento, 1998
E pensare che i Valandro da sempre erano radicati a Scurelle: il 9 novembre 1552 un Notaio, l’insigne Ignazio Melchiorre Valandro (avo del nostro, davvero molto probabile) pubblica la Regola di Scurelle richiesto da Brizio Ropele, Vicario della giurisdizione di Ivano.
Poi il 16 aprile 1686 un suo discendente, Francesco Valandro, figlio di Baldassarre di Scurelle, anch’egli pubblico Notaio di Imperiale e Apostolica autorità nonché giudice ordinario, con la approvazione scritta di Giorgio Agostino Ropele, Vicario di Ivano in quell’anno convalida una riedizione della Regola.
Ma non è finita, il 12 dicembre 1689 il Notaio Ignazio Melchiorre Valandro, anch’egli pubblico notaio, sempre d’autorità imperiale, autentica la ratifica di Carlo Duca di Lorena.
Insomma oltre ad esser radicati i signori Valandro avevano un ruolo nobiliare e pubblico: il Notariato.
Anche oggi i Valandro sono circa 123 in tutta Italia perciò pensare che fossero tutti parenti è certo.
A sostegno di questa ipotesi viene anche una tesi universitaria di Maria Rita Rosalio dal titolo: Studi sul dialetto trentino di Štivor (Bosnia). Editore: Firenze, La Nuova Italia, 1979 (Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, 84).
Durante la ricerca della linguista, descrivendo le origini di Caterina Valandro si fa riferimento al fatto che: “il cognome Valandro […] nella Valsugana è esclusivo di Scurelle”
Ultimo nato ed unico maschio fu mio padre Tullio, un uomo elegante dai modi educati, con una bella voce. Alla morte prematura del padre, che fece venir meno guida e sostentamento insieme, reagì con la positività contadina che non si scoraggia e ripose fiducia e speranze nella terra. Fatica tanta ma non sempre la terra ripaga puntuale o abbastanza, perciò, se devi badare alla famiglia, occorre andare anche in fabbrica, in cantiere, ovunque ci sia da tirare su due soldi. Mio padre non si sottrasse. Eppure, dal suo modo di fare non traspariva la fatica spesa in gioventù nei lavori più usuranti come ad esempio da addetto all’altoforno, a contatto con il piombo, o manovale in una segheria. E tutto questo mentre, senza mai lamentarsi, conduceva in parallelo la sua azienda agricola che produceva 700 quintali di mele all’anno.
Ha lasciato a noi dei ricordi bellissimi. Mi accorgevo che, pur vivendo lontani e incontrandoci solo nelle occasioni di festa o vacanza, seguiva i suoi nipoti, soffermandosi con la sua sensibilità su quelli che di volta in volta gli sembravano più deboli e bisognosi di consigli.
Ci ha lasciato in eredita alcuni valori fondamentali come: mantenere la parola data, la correttezza, l’onestà intellettuale, che sono una guida costante nel nostro lavoro.
Quirino